L’edizione 2021 delle Aon Risk Maps mette in luce come, nel corso del biennio 2020-2021, i rischi legati al terrorismo e alla violenza politica siano diventati meno immediatamente identificabili e tuttavia più presenti.

Lo scenario globale contemporaneo si mostra oggi profondamente modificato ed è pronosticabile che la parabola storica dei prossimi mesi ed anni sarà legata a doppio filo alla capacità dei governi di attuare delle politiche attive per far fronte alla pandemia, e alla capacità di questi ultimi di gestire la crescente disuguaglianza economica e le tensioni presenti nell’opinione pubblica.

Le Risk Maps di Aon, realizzate in partnership con Continuum Economics e Dragonfly, si configurano come uno strumento analitico in grado di fornire una panoramica dei livelli di rischio politico, di terrorismo e di violenza politica paese per paese.

Le aziende potranno quindi utilizzare la piattaforma per ottenere una migliore comprensione di tali rischi ed essere più pronte a gestire le loro esposizioni nel complesso quadro geopolitico ed economico odierno. Le mappe consentono infatti di identificare e tracciare le diverse fonti e il grado di rischio, rappresentando degli utili strumenti nella pianificazione e gestione della protezione degli asset fisici, e di eventuali contratti essere impattati negativamente da improvvisi sviluppi politici.

Consulta le Aon Risk Maps 2021, il portale online continuamente aggiornato.

Una ripresa sostenibile a rischio

Le Risk Maps registrano un aumento generalizzato dei livelli di rischio politico per il biennio 2020-2021 per l’emergere o l’acutizzarsi, tra le altre, delle seguenti ragioni:

  • il significativo aumento dell’inflazione nei mercati emergenti nel corso di quest’anno;
  • la battuta d’arresto dei progetti legati alla sostenibilità a causa della pandemia;
  • la crescita del divario dei redditi pro capite tra mercati sviluppati e Paesi emergenti, ulteriormente alimentato dai ritardi delle campagne vaccinali in questi ultimi.

Le istituzioni sovranazionali, l’UE su tutte, stanno ponendo l’accento sull’opportunità di mettere in atto una ripresa più consapevole e sostenibile, per ricostruire meglio di prima in scia alla pandemia.

Le ragioni economiche di una ripresa green si basano in primis sulla creazione di posti di lavoro e su costi energetici più bassi, e tuttavia le politiche fiscali espansive che stanno consentendo di affrontare la crisi determinata dal COVID-19 hanno fatto sì che alla fine del 2020 meno della metà dei firmatari l’Accordo di Parigi siano stati in grado di rispettarne le disposizioni fondamentali per raggiungere l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura media globale a 1,5 gradi sopra i livelli preindustriali.

Terrorismo e violenza politica

Nel 2020 i periodi di lockdown e le restrizioni ai viaggi hanno avuto l’effetto indiretto di mitigare considerevolmente l’incidenza degli attacchi terroristici e gli episodi di protesta violenta, con una percentuale di Paesi esposti ad atti terroristici e sabotaggi scesa al 45%, ma con incidenti di questo tipo in forte ripresa in seguito al progressivo allentamento delle restrizioni.

Nonostante questa momentanea diminuzione di simili episodi, la pandemia ha allo stesso tempo costituito un’opportunità per un certo tipo di pensiero estremista e complottista di diffondersi tramite la propagazione di consenso favorita dall’accesso ubiquo ai social network e di sfociare, talvolta, in veri e propri episodi di protesta violenta come accaduto durante il cosiddetto ‘assalto al Campidoglio’ di Washington, DC del 6 gennaio 2021.

La violenza jihadista in aumento

La maggior parte degli atti violenti di stampo jihadista si sono verificati in zone di conflitto come l’Iraq, la Siria, l’Afghanistan e il Mali, la cui stabilità dipende largamente dall’azione di supporto militare e politico della comunità internazionale. L’impatto della pandemia su questi Stati fragili è ad oggi solo ipotizzabile, complice la difficoltà oggettiva di ottenere dati accurati circa la circolazione del virus e la ridotta capacità predittiva delle analisi di medio-lungo periodo in tali contesti.

In particolar modo l’Afghanistan è tornato davanti agli occhi del mondo per il recente rientro delle ultime truppe americane ancora presenti nel paese, a seguito degli accordi siglati con i Talebani a Doha nel febbraio 2020.

La rapidità con cui i Talebani hanno catturato Kabul il 15 agosto ha verosimilmente colto di sorpresa l’amministrazione Biden e costretto gli Stati Uniti ad accelerare l’evacuazione dei loro effettivi. Sebbene gli Stati Uniti e la NATO abbiano lasciato aperta, in linea teorica, la possibilità di ristabilire un qualche grado di relazione diplomatica, permangono forti perplessità sulla capacità del nuovo governo talebano di superare quelle politiche repressive e di violazione dei diritti umani – in particolar modo dei diritti delle donne – che avevano caratterizzato la loro prima ascesa al potere negli anni ’90.

La vulnerabilità della supply chain nei mercati di frontiera

Il rischio di interruzione della catena di approvvigionamento, esacerbato dal cambiamento climatico e da condizioni meteorologiche estreme, rappresenta un problema crescente per i mercati di frontiera, nei quali il COVID-19 ha portato saldi di bilancio più ampi, un’inflazione più alta e un indebitamento crescente. Questi Paesi corrono così un rischio maggiore di rimanere indietro nell’implementazione di politiche a mitigazione del cambiamento climatico. L’aumento dei prezzi delle materie prime e l’inflazione possono in questo senso venire in aiuto nell’alleviare il peso del debito dei mercati emergenti, le cui economie sono spesso incentrate sulle materie prime.

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