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COVID-19. Una crisi sanitaria, economica, sociale. Ne siamo stati colpiti tutti, ma le quarantene non si sono rivelate uguali e la crisi ha preso forme e sfumature diverse. Ilaria Capua, la famosa virologa nota per i suoi studi sui virus influenzali e in particolare sull’influenza aviaria, ha affermato che “ogni pandemia ha allo stesso tempo un effetto distruttore e uno rigeneratore.” Ma siamo certi che sia proprio così anche per quanto riguarda il mondo delle donne?

I primi segnali, in realtà, dicono esattamente l’opposto. Sembra che questa crisi abbia addirittura accentuato lo squilibrio di genere, evidenziando nel nostro Paese una struttura economica femminile particolarmente fragile e precaria. Basti pensare che già nella fase pre-COVID l’Italia presentava il tasso di occupazione femminile più basso d’Europa (49,5%), dove solo 1 donna su 2 lavorava.

Il lockdown si è quindi rivelato una penalizzazione per molte donne che tra lo Smart Working, la gestione dei figli e il pensiero e la cura delle persone più anziane, si sono ritrovate a gestire una situazione che, se era già gravosa prima della pandemia, si è appesantita ancora di più durante il periodo di isolamento.

Non è un caso che anche la Michigan State University abbia notato come durante le settimane di isolamento la produttività delle donne appartenenti al mondo accademico sia diminuita del 50% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un chiaro segnale che evidenzia come in questo caso il lavoro da casa per molte donne non abbia significato avere tempo maggiore per fare ricerca e dedicarsi alla scrittura accademica, bensì dedicarsi a ruoli e compiti familiari che in altri Paesi risultano essere molto più condivisi.

L’epidemia ha quindi amplificato fenomeni quali lo squilibrio del lavoro di cura e assistenza e messo in risalto lo stereotipo di genere, impattando sul gender gap del Paese. Se prima dell’emergenza sanitaria, infatti, l’Italia era al 76° posto su 153 Paesi nella parità tra uomo e donna (Global Gender Gap Report 2020), ormai è certo che l’epidemia si tradurrà per molte donne in un passo indietro.

Cosa fare? Mai come adesso è urgente “pensare femminile”, accettando il fatto che, seppur lo Smart Working sia un benefit essenziale nella vita di tutte le persone, se non è affiancato da forti politiche sociali, servizi all’infanzia e politiche per la famiglia, il peso della gestione familiare si rivelerà sempre penalizzante. Parlare solamente di lavoro agile senza verificare i suoi effetti sulla condizione femminile è fortemente sbagliato.

A voler contenere questa conseguenza sociale ed economica della pandemia ci sta pensando anche l’UNICEF che, insieme alle altre agenzie delle Nazioni Unite, si sta impegnando per garantire l’uguaglianza di genere in risposta al COVID-19. Anche per l’UNICEF, infatti, la parola d’ordine è “sostegno”, che deve essere forte e adeguato: assistenza per la cura dei bambini, accesso ai servizi sanitari e altre forme di protezione sociale che possano tutelare le lavoratrici e favorire il benessere delle famiglie.*

Forse siamo ancora in tempo. Forse c’è ancora margine per un nuovo pensiero sociale e culturale, una Fase 2 che aiuti tutti noi a fare un passo in avanti.

*Fonte: “Rapporto UNICEF- Cinque azioni per la parità di genere nella risposta al COVID-19”

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